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check up neonatale

In cosa consiste lo screening neonatale

Parliamo oggi dello screening neonatale che rappresenta una delle prime attività in ambito di prevenzione che interessano l’epoca neonatale. Quando parliamo di medicina e di salute in generale, la prevenzione occupa un ruolo importantissimo e fondamentale. La prevenzione può essere considerato l’unico strumento che ci permette di preservare la nostra saluta. L’attività della prevenzione riguarda tutta la nostra vita, non solo dalla nascita in poi, ma in alcuni casi anche durante la gravidanza.

Esistono tantissimi strumenti che aiutano i genitori a controllare la salute del bambino e a prevenire rischi e problemi futuri. Tra questi c’è anche lo screening neonatale, che è uno degli strumenti di prevenzione che interessano per primi la salute del bambino. Con questi test infatti si può diagnosticare in tempo alcuni possibili rischi futuri del neonato, riuscendo a trattare in tempo alcune patologie prima che arrivino delle gravi conseguenze. Patologie che in alcuni casi sono silenti alla nascita e che con il tempo, non trattate e curate, possono diventare molto gravi.

Come detto dunque, gli screening neonatali sono dei test di prevenzione che generalmente si eseguono quando il bambino ha quattro o al massimo 5 giorni di vita. Questi test vengono effettuati tramite un prelievo ematico sul tallone del bambino e tramite un test uditivo. Il termine screening indica tutti gli esami che hanno come obiettivo l’individuazione di malattie precoci delle quali esiste un trattamento. Trattamento che, se svolto quando la malattia è agli inizi, può migliorare notevolmente la prognosi del soggetto, diminuendo drasticamente il rischio di complicazioni e anche quello di morte.

Aspetti giuridici

Prima di parlare dello screening neonatale è opportuno fare un quadro generale di quelli che sono gli aspetti giuridici che regolano questa attività. Nel nostro paese questi test sono stati introdotti con la legge quadro 5 febbraio 1992, n. 104 che, all’articolo 6, introduce lo screening neonatale per tre diverse patologie, ovvero la fenilchetonuria, la fibrosi cistica e l’ipotiroidismo congenito.

Il Dpcm 9 Luglio 1999 ha successivamente regolamentato gli screening metabolici obbligatori, mentre la legge 21 marzo 2005, n. 55 ha introdotto alcune misure e disposizione con l’obiettivo di prevenire le malattie da carenza iodica e il gozzo endemico. Al giorno d’oggi, con la medicina e la scienza che hanno messo in campo tecnologie molto avanzate, gli screening riguardano un numero sempre maggiore di malattie. Al punto che ormai si parla di Screening Neonatale Esteso (SNE). Si tratta di una serie di test che vengono eseguiti alla nascita e che hanno lo scopo di individuare e trattare tempestivamente molte malattie metaboliche ereditarie ancora prima che si manifestino i sintomi. La Legge 167/2016 ha successivamente stabilito che lo SNE deve essere garantito a tutti i neonati a tutto il territorio nazionale.

Cosa è lo screening neonatale

Tornando in ambito medico, ricapitoliamo quanto detto finora. Gli screening neonatali sono composti da alcuni test da eseguire nei primi 4 o 5 giorni di vita di un bambino. Hanno lo scopo di diagnosticare alcune patologie di epoca neonatale ancora prima che si manifestino. Il tutto con l’obiettivo di intervenire con specifici trattamenti e evitare conseguenze gravi e drammatiche. La prima cosa da dire è che si tratta di test cosiddetti di primo livello. I risultati di questi test infatti non indicano una diagnosi definitiva, ma solo un’eventuale fattore di rischio. Se lo screening viene positivo non significa che il bambino è affetto da una particolare malattia, ma solo che esiste un fattore di rischio che dunque richiede altri approfondimenti diagnostici.

Avete mai sentito parlare del test di Guthrie? È un altro nome per chiamare lo screening neonatale. Questa definizione deriva dal nome del microbiologo americano che per primo, negli anni ’60, fece uno screening neonatale. Per farlo raccolse un campione di sangue del neonato su un foglio di carta assorbente, oggi conosciuta con il nome di Guthrie Card. Ad oggi i programmi di medicina della prevenzione ritengono che tutti i bambini appena nati abbiano diritto a titolo gratuito a test di screening per l’Ipotiroidismo congenito, la Sindrome Adreno-Genitale, Fenilchetonuria e la Fibrosi cistica. Da 10 anni a questa parte la Toscana ha allargato questi test anche ad altro 40 malattie metaboliche. Procediamo dunque con le caratteristiche delle più importanti patologie che sono oggetto dello screening, al fine di capire meglio l’importanza di questi test e di una diagnosi precoce di fronte a queste malattie.

Fibrosi Cistica (FC)

Iniziamo dalla fibrosi cistica, una patologia genetica monogenica il cui gene responsabile è il CFTR (cystic fibrosis transmembrane conductance regulator), individuato sul cromosoma 7. Si tratta di una patologia a trasmissione autosomico-recessiva. Al momento il CFTR ha 1250 mutazioni individuate. In caso di fibrosi cistica, questo gene altera o elimina la sua proteina codificata, con la conseguente anomalia del trasporto di cloro alla cellula, sia all’interno che all’esterno. Tutto questo provoca delle secrezioni che non hanno ioni cloro e che sono molto dense, definite secrezioni disidratate.

Questa malattia colpisce molto organi del nostro organismo, primi tra tutti i piccoli bronchi. La conseguenza più importante è l’occlusione dei piccoli bronchi da parte del muco denso, che li rende molto più suscettibili ad infezioni, quali ad esempio la bronchite cronica. Può inoltre colpire anche il pancreas, che di conseguenza riduce la propria funzione produttiva di ormoni ed enzimi. Questo provoca un malassorbimento di proteine e grassi che può dare origine a diabete giovanile, insufficienza pancreatica o pancreatite. Negli uomini può anche causare sterilità.

Come detto la Fibrosi Cistica si può presentare sotto diverse forme. I sintomi principali si manifestano sul sistema respiratorio, su quello digerente, con conseguente costipazione o steatorrea e anche con i problemi di crescita. Questa malattia è cronica e spesso degenerativa. Si presenta quasi sempre durante l’infanzia e in alcuni casi, seppur rari, anche alla nascita. Le conseguenze come la morbilità e la mortalità sono influenzate dall’entità della lesione che interessa i bronchi e i polmoni. I soggetti affetti da questa malattia tendono ad avere un’alta produzione di sudore. Questo deriva dalla proteina alterata CFTR, che in condizioni normali ha il compito di regolare il flusso idroelettrolitico di transmebrana. In presenza di alterazioni ci sono delle anomalie nell’escrezione esocrina che, di conseguenza, provocano un’alta produzione di sudore.

Per diagnosticare questa malattia serve il cosiddetto test del sudore. Questo test prende in esame un campione di sudore e ne esamina la concentrazione di cloro, dalla quale si può determinare l’alterazione del CFTR. Utilizzando gli screening neonatali, è possibile diagnosticare la presenza di questa patologia nel 95% dei casi. Nei casi in cui i futuri genitori abbiano mutazioni eterozigoti può essere fatta anche una diagnosi prenatale attraverso lo studio molecolare sui villi coriali, in genere effettuato dopo l’ottava settimana di gravidanza.

Quale è il trattamento per questa malattia? Si tratta di un trattamento di tipo sintomatico. Si posiziona un drenaggio bronchiale e si somministra antibiotici al fine di prevenire e risolvere le infezioni respiratorie, ma anche controllare lo stato di salute del pancreas. Per fronteggiare i problemi all’apparato digerente si somministrano anche integratori e vitamine. Da notare che, secondo i dati statistici, grazie a questo tipo di trattamento la mortalità in conseguenza a questa malattia è decisamente migliorata. I dati statistici mostrano che negli anni ’60 le persone affette da questa malattia morivano entro 5 anni, mentre adesso l’aspettativa di vita è di circa 40 anni.

Fenilchetonuria (PKU)

Parliamo adesso della Fenilchetonuria, conosciuta anche con il nome di iperfenilalaninemia di tipo I. Si tratta di una malattia genetica di tipo metabolico. La causa è da ricercarsi nella mutazione del gene Phenylalanine Hydroxylase, PAH ed è a trasmissione autosomico-recessiva. La mutazione di questo genere provoca la codifica per l’enzima fenilalanina idrossilasi, che ha funzioni importanti nel fegato. La scienza oggi ha scoperto 500 mutazioni diverse del PAH. L’enzima ha la funzione di trasformare in tirosina l’aminoacido essenziale fenilalanina. Con questa malattia queste gene non riesce a funzionare e la conseguenza è che la fenilalanina finisce per accumularsi nell’organismo che in parte la espelle attraverso le urine e in parte la trasforma in fenilacetato e fenilpiruvato.

Tutto questo può avere conseguenze diverse. Se nel nostro organismo è presente una carenza di tirosina, c’è anche una produzione di molecole, che derivano dalla stessa, insufficiente. Queste molecole sono molto importanti e sono ad esempio la dopamina, l’adrenalina, la DOPA e la noradrenalina. Anche se i meccanismi non sono ancora chiari, sembra che l’accumulo di fenilalanina a livello cerebrale possa causare un ritardo mentale. Se mettiamo insieme tutti questi diversi fenomeni e alterazioni, il quadro non è dei migliori. Di fronte a queste situazioni può infatti esserci uno sviluppo neuronale più lento del normale. Tutto questo provoca una formazione di neuroni più piccoli del normale che, di conseguenza, non sono in grado di collegarsi tra loro.

Come detto siamo di fronte a malattie che non si manifestano fin dalla nascita dei bambini. I sintomi sono ancora lievi e anche piuttosto comuni e dunque è difficile diagnosticare questa malattia basandoci sono su questi sintomi. Tra questi i più importanti sono: vomito, eczema, irritabilità, nausea, rash cutanei, urine maleodoranti. Riassumendo quanto detto finora, l’accumulo di fenilalanina a livello cerebrale ha un effetto tossico e con il tempo deteriora il sistema nervoso. Questa condizioni ha come sintomatologia la comparsa di iperreflessia tendinea, ipertono muscolare e anche tremori. Spesso le persone che hanno questa patologia presentano una carnagione piuttosto chiara, dovuta a dei libelli insufficienti di melanina, che altro non è che una conseguenza di insufficienza di DOPA. Per lo stesso motivo spesso i soggetti colpiti dalla malattia hanno anche occhi chiari e capelli biondi.

Anche in questo caso è facilmente intuibile che una diagnosi precoce e tempestiva possa fare la differenza. Come detto la sintomatologia è poco chiara e dunque gli screening neonatali diventano indispensabili. Il trattamento prevede una dieta con poca fenilalanina, proprio per evitarne l’accumulo. Queste proteine vengono sostituite con singoli amminoacidi che non hanno fenilalanina. Saranno i controlli ematici a stabilire le quantità corrette di fenilalanina di cui l’organismo ha bisogno quotidianamente.

In ultimo, riteniamo che sia molto importante parlare anche delle donne affette da PKU che, qualora non seguano una corretta terapia durante la gravidanza, possono causare problemi al feto perché, come detto, la fenilalanina ha un effetto tossico. Il modo migliore per combattere questi effetti è quello di programmare la gravidanza e seguire una particolare dieta prima del concepimento. Anche perché durante la dolce attesa la tolleranza alla fenilalanina aumenta, poiché il feto non è affetto da PKU e dunque la sua attività epatica è perfettamente in grado di metabolizzare e eliminare l’eccesso di fenilalanina, sia il suo che quello della mamma.

Ipotiroidismo Congenito

Parliamo adesso dell’ipotiroidismo congenito. Siamo di fronte ad una delle malattie della ghiandola tiroidea più importante quando si parla di bambini. All’insorgere di questa malattia, questa ghiandola presenta delle forti disfunzioni sin dal concepimento. Tra le cause più frequenti ricordiamo le alterazioni delle tappe enzimatiche e le anomalie dello sviluppo, tra le quali l’ipoplasia, l’aplasia e l’ectopia.

In caso di alterazioni delle tappe enzimatiche siamo di fronte a difetti strutturali. La ghiandola tiroidea in questo caso ha un deficit dello sviluppo. Di conseguenza può essere molto più piccola o addirittura trovarsi in una posizione diversa dal normale. Nel caso di anomalie dello sviluppo, invece, siamo di fronte a difetti della stessa ghiandola. La ghiandola tiroidea è delle giuste dimensioni e nella giusta posizione, ma non è in grado di produrre gli ormoni T3 e T4, con la conseguenza che la stessa ghiandola si ingrossa. I casi più frequenti sono comunque causati da un problema dello sviluppo della ghiandola tiroide.

Nel primo caso si parla di difetti strutturali, per cui la ghiandola è caratterizzata da deficit di sviluppo, e quindi, per esempio, può essere più piccola del normale, o trovarsi in una sede diversa da quella anatomica; nel secondo caso, invece, si tratta di difetti della funzione della ghiandola stessa, per cui la ghiandola è in sede ma non riesce a produrre ormoni (T3, T4) e il TSH aumenta, con conseguente ingrossamento della ghiandola. Tuttavia, le forme più frequenti di ipotiroidismo congenito sono legate ad un deficit di sviluppo della ghiandola tiroidea.

I sintomi più dell’ipotiroidismo congenito sono:

  • Un’età gestazionale maggiore di 42 settimane.
  • Presenza di fontanella posteriore ampia (lamboidea).
  • Peso del bambino alla nascita maggiore di quattro chili.
  • Ipotermia.
  • Difficoltà respiratorie.

Oltre a questi vi sono anche altri sintomi che vengono definiti indicativi. Questi sintomi possono far pensare ad un problema di ipotiroidismo congenito soprattutto nei casi in cui sono accompagnati dai sintomi suddetti. Tra questi i più importanti sono:

  • Letargia.
  • Difficoltà alla suzione, ovvero difficoltà ad assumere liquidi tramite le labbra.
  • Stipsi.
  • Addome disteso.
  • Voce roca.
  • Ritardata emissione di meconio.
  • Ernia ombelicale.
  • Ittero prolungato.

Per diagnosticare tempestivamente questa malattia lo screening neonatale viene eseguito al terzo giorno di nascita. Le tempistiche sono fondamentali. Il test si fa al terzo giorno perché durante le prime ore di vita tutti il bambino nato con questa malattia usa gli ormoni materni per crescere. Le FT3 e le Ft4 , infatti, riescono a passare attraverso la placenta. Il test prevede il dosaggio di t4 e THS. Se il test fosse eseguito nelle prime ore di vita del bambino, tutto risulterebbe nella norma, dal momento che il piccolo potrebbe ancora avere gli ormoni della mamma.

Cosa succede dopo lo screening? Il test risulta positivo se il valore del bambino supera i 10. A questo punto la neomamma viene avvisata e il test ripetuto. Si lasciano trascorrere tra le 24 e le 48 ore dal primo test, in maniera tale che il neonato riesca a produrre più THS in caso di carenza di ormoni tiroidei. Qualora anche il secondo test abbia un valore maggiore uguale al primo, allora i medici diagnosticano l’ipertiroidismo congenito. Da questo momento in poi il neonato è affidato ad un centro specializzato.

Anche in questo caso la terapia deve essere tempestiva. Il trattamento per questa malattia deve iniziare al più presto, perché è proprio durante i primi giorni di vita che un bambino affetto da ipertiroidismo congenito subisce i danni più gravi, soprattutto al sistema nervoso. Proprio per questo la terapia si esegue entro i primi 30 giorni di vita. In caso contrario le conseguenze possono essere irreversibili. Si può infatti sviluppare una ridotta capacità di coordinamento motorio, difficoltà nel linguaggio, calo dell’attenzione e anche discalculia.

Non molto tempo fa l’unica terapia per questa malattia era formata da farmaci di T4 sotto forma di compresse. Oggi esistono anche quelli in gocce che sono di più facile somministrazione per un bambino così piccolo. Generalmente si prendono al mattino e una sola volta al giorno. Le quantità di ormoni tiroidei dipendono dall’età del bambino: sono alti quando sono piccoli e si abbassano con la crescita. Si calcona quindi in base al peso del soggetto. Le madri di bambini con ipertiroidismo congenito devono fare molta attenzione ai segni di iperdosaggio, Tra questi i più importanti sono la tachicardia, i tremori, un flash di calore e alvo tendenzialmente diarroico.

Le malattie metaboliche ereditarie

Parliamo adesso delle malattie metaboliche ereditarie. Siamo di fronte ad una serie di patologie causate dalla carenza o completa essenza di importanti enzimi che hanno il compito di produrre energia. Quando questi enzimi non funzionano nel modo corretto si ha una riduzione di energia, che porta ad una serie di problemi ad alcuni processi metabolici del nostro organismo. Di conseguenza possono esserci problemi e disfunzioni di molti organi, con problemi di crescita, problemi al sistema scheletrico, a quello nervoso o problemi cardiaci. Esistono alcune malattie metaboliche che determinano un accumulo di prodotti metabolici che hanno un effetto tossico per il nostro organismo.

Esistono due diverse forme in cui queste malattie si manifestano in epoca neonatale. La prima è quella a lenta progressione, la secondo è detta a rapida evoluzione. Quando la malattia si manifesta a lenta progressione, come il nome suggerisce, i sintomi tardano ad arrivare. La conseguenza maggiore è un problema dello sviluppo psicomotorio del soggetto, un ritardo dello sviluppo del linguaggio o un problema di deambulazione. In altri casi possono manifestarsi anche alterazioni scheletriche, rifiuto a mangiare, vomito, convulsioni o ipotonia muscolare. Nel caso in cui ci sia una rapida evoluzione il sintomo più importante sono le convulsioni che causano danni neurologici irreversibili e in alcuni casi la morte.

I dati indicano che nel nostro paese un bambino ogni 500 nati è affetto da una malattia metabolica ereditaria. Purtroppo in molti casi la malattia non viene riconosciuta in tempo, con la conseguente morte del bambino. Le malattie metaboliche ereditarie più importanti sono: mucopolisaccaridosi, leucinosi, omocistinuria, glicogenosi, leucodistrofia, deficit del piruvato, aciduria metilmalonica, galattosemia. 

Anche in questo caso dunque lo screening neonatale risulta di fondamentale importanza. Questi test vengono effettuati tramite il dosaggio di metaboliti anomali oppure tramite il dosaggio di un’alta concentrazione di metaboliti normali all’interno di fluidi biologici. Nella maggior parte dei casi i risultati di questi test non sono sufficienti per avere una diagnosi completa e certa e dunque in caso di dati sospetti seguono altri esami più complessi e specifici. Una volta diagnostica la malattia, i trattamenti riguardano soprattutto l’alimentazione. La dieta dei soggetti che presentano una di queste malattie è determinata eliminando alcuni alimenti che possono portare alla produzione dei metaboliti interessati. In alcuni casi alla dieta vengono associati anche farmaci che hanno il compito di aiutare l’organismo ad espellere i prodotti tossici. Nei casi più gravi i trattamenti possono essere molto più invasivi, come ad esempio il trapianto di organi. Purtroppo alcune di queste malattia al giorno d’oggi non hanno una cura. Anche in questo caso l’obiettivo è quello di riuscire a diagnosticare in tempo la malattia, prima che abbia causato i primi deficit neurologici. Da qui è evidente l’importanza di una diagnosi rapida e di un trattamento efficace.

Screening uditivo neonatale

Parliamo adesso dello screening uditivo neonatale. Questo test non è obbligatorio a livello nazionale, ma è presente nei programmi di assistenza sanitaria regionale. Questo perché i dati parlano di un’incidenza molto più alta della sordità neonatale rispetto a quella delle malattie di cui abbiamo parlato finora. Inoltre per questo genere di patologie è fondamentale una diagnosi entro i primi 5 mesi di vita, al fine di provvedere ad un adeguamento trattamento non solo terapeutico ma anche riabilitativo. Inoltre questo test è facilissimo da eseguire e del tutto innocuo.

Al giorno d’oggi lo screening uditivo neonatale si esegue mediante le otoemissioni acustiche. In pratica si registrano i suoni che la coclea umana emette, che siano di forma spontanea o conseguenti a stimolazione sonora. Per fare questo si deve inserire un microfono nel condotto uditivo esterno del bambino. Questo esame si esegue al secondo o al massimo terzo giorno di vita del bambino. In caso il risultato sia sospetto si fa un nuovo test e, qualora ci fosse un nuovo risultato positivo, il bambino avrà bisogno di una conferma della diagnosi eseguibile al Centro di 2° livello entro 90 giorni dalla nascita.