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Divorzio e assegno di mantenimento: tutto quello che c’è da sapere

Stai divorziando e vuoi saperne di più su divorzio e assegno di mantenimento? In certe situazioni, all’ex partner va riconosciuto un aiuto economico. Il tema è stato più volte trattato nel corso dell’ultimo biennio dalla Corte di Cassazione.

Assegno di mantenimento e divorzio

La differenza tra assegno di divorzio e di mantenimento è facilmente comprensibile. Quello di mantenimento viene stabilito (dal giudice o di comune accordo) nel momento in cui una coppia si separa. Con tale misura si persegue l’obiettivo di assicurare un tenore di vita adeguato al coniuge più “povero” che, da un giorno con l’altro, si trova in difficoltà. Nel contesto dell’unione matrimoniale, tra marito e moglie chi ha il reddito maggiore ha l’obbligo di corrispondere all’altro un assegno mensile che gli dia modo di preservare lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, una divisione delle entrate affinché vengano appianate le possibili disparità economiche.

L’assegno di divorzio è determinato, di comune accordo o dal giudice con la relativa sentenza, e si sostituisce all’assegno di mantenimento, che viene cancellato. La finalità del contributo, che dovrà durare ben di più rispetto a quello di mantenimento, è di permettere alla parte più debole, sotto il piano economico, di mantenersi, qualora non sia in grado di provvedervi autonomamente. Se il coniuge più debole percepisce uno stipendio che gli garantisce l’autosostentamento non ha alcun diritto di pretesa nei confronti della controparte.

Se lo stipendio è insufficiente per mantenersi, andrà sommato all’assegno di divorzio.

Vale lo stesso discorso per chi è senza lavoro. L’assegno divorzile dovrebbe essere di importo inferiore rispetto a quello di mantenimento.

Come ottenere assegno di mantenimento

Alla pari dell’assegno di divorzio, neanche l’ottenimento dell’assegno di mantenimento è scontato poiché vanno osservate precise regole.

La Corte di Cassazione ha preferito evitare che gli alimenti finissero col diventare una specie di rendita vitalizia.

Quando l’ex moglie o l’ex marito possa ancora trovare occupazione non può pretendere di vivere a spese altrui.

Se è disoccupato, l’ex dovrà dimostrare al giudice che tale condizione non è imputabile alla sua volontà ma da fattori esterni, collegati alla formazione professionale, alla salute e all’età.

Dovrà dimostrare di avere raggiunto la soglia anagrafica che la Suprema Corte fissa in circa 45-50 anni, superata la quale diventa assai più difficile trovare un lavoro.

Avrà il compito di provare di avere una patologia che le impedisce di svolgere qualche mansione. Oppure potrebbe essere carente con le competenze professionali maturati negli anni. Un’altra causa è costituita dalla crisi del mercato dell’occupazione.

La donna dovrà dimostrare di essersi attivata alla ricerca di un’occupazione e di non averla trovata.

A tal fine non è sufficiente l’iscrizione alle liste di collocamento dei centri per l’impiego, ma è necessario pure l’invio di curriculum alle aziende, la partecipazione a concorsi e bandi, la richiesta di colloqui di lavoro.

Deve convincere il giudice di avere fatto tutto il possibile e di non esserci riuscita non per sua colpa.

I casi in nei quali alla ex moglie spetta il mantenimento

I casi nei quali il giudice è tenuto a riconoscere un assegno di divorzio all’ex moglie sono limitati. La prima fattispecie consiste nella donna di mezza età disoccupata.

Superati i 50 anni è piuttosto scarsa la probabilità di trovare un impiego. Di per sé è dunque meritevole dell’assegno di mantenimento. Ad esempio, la moglie che, pur lavorando quando era sposata, è poi stata licenziata.

O chi ha un part-time e che, considerata l’età, difficilmente riuscirebbe a convertirlo in un contratto a tempo pieno.

La donna che non ha formazione professionale

La donna che non ha acquisito un bagaglio formativo professionale o non ha esperienze perché ha scelto di dedicarsi esclusivamente alla famiglia ha quasi sempre diritto al mantenimento, a meno che non sia giovane da potersi affermare che la sua carriera nel mondo del lavoro è appena cominciata.

In simili circostanze, la donna deve presentare prova che l’assenza di un’ occupazione mentre era sposata le ha impedito di maturare esperienze che le abbiano permesso di crescere a livello professionale e di rendersi disponibile per eventuali assunzioni o capace di gestire un’attività autonoma.

È l’ipotesi della casalinga o di colei che ha contribuito nell’affermazione imprenditoriale del marito. In alcune situazioni sia le donne sia gli uomini possono contrarre disagi psico-fisici che impediscono loro di esercitare un’attività.

In siffatte circostanze l’assegno di divorzio è una forma di sostegno per una disoccupazione non colpevole.

La disoccupazione senza colpa

L’ultimo caso in cui l’assegno di divorzio spetta all’ex moglie è quando lei è disoccupata ma dimostra al giudice che la condizione non dipende da sua volontà ma da una crisi di mercato.

La donna dovrà fornire la prova di avere cercato un lavoro, senza successo.

Oltre all’iscrizione al centro per l’impiego, deve esibire le ricevute delle raccomandate con le quali si è inviato il curriculum ai fini di un’assunzione oppure si è chiesto un colloquio.

Inoltre, hanno valore la partecipazione a concorsi e bandi nella pubblica amministrazione, i tirocini o i periodi di volontariato.

L’assegno di divorzio

L’assegno di divorzio viene assegnato in seguito allo scioglimento del vincolo matrimoniale. Pertanto, ha natura differente dall’assegno di mantenimento e da quello alimentare, eventualmente attribuiti in fase di separazione, che, invece, presuppongono l’esistenza e la persistenza del rapporto coniugale.

L’assegno divorzile ha natura complessa:

  1. una componente compensativa, per cui si analizzano gli apporti di ciascun coniuge al ménage familiare;
  2. una componente risarcitoria, per cui occorre stabilire la causa della rottura;
  3. una componente assistenziale, per cui è necessario valutare il pregiudizio che lo scioglimento del vincolo matrimoniale può arrecare ad una delle parti.

 

Anche con una sola delle tre componenti, l’assegno può essere concesso. Di norma, il versamento è riconosciuto ad uno dei coniugi poiché ha diritto a mantenere il medesimo tenore di vita avuto durante il matrimonio. Esso può essere richiesto nel momento del passaggio in giudicato della sentenza, ma pure successivamente, laddove le condizioni cambino, sussistendo di un oggettivo stato di bisogno.

All’assegno è possibile rinunciare, ma comunque in caso di sopraggiunto stato bisogno, sarà possibile revisionare le decisioni assunte precedentemente dal tribunale.

Il corrispettivo può essere dato mensilmente oppure liquidato in un’unica tranche, previo accertamento del giudice sulla congruità della somma offerta. Nella seconda circostanza viene meno qualunque diritto del soggetto che lo ha ricevuto ad ulteriori richieste di natura economica, ritenute inammissibili dalla stessa normativa. Il coniuge perderà pure qualsiasi diritto in ambito successorio.

Se l’assegno è versato con cadenza mensile, il coniuge che lo riceve, in caso di morte dell’ex, avrà accesso a una quota dell’eredità, in misura proporzionale alla somma precedentemente ricevuta, e al riconoscimento automatico della pensione di reversibilità o ad una quota di essa.

La posizione si estingue nell’istante in cui il beneficiario convola a nuove nozze o se il soggetto tenuto al versamento muore oppure fallisce. Qualora l’obbligato non ottemperi alla prestazione è possibile agire esecutivamente nei suoi riguardi o nei confronti di chi è suo debitore (ad esempio una banca o il datore di lavoro), per ottenere il dovuto. Infine, allo scopo di tutelare il legittimo diritto riconosciuto mediante sentenza, è possibile avanzare domanda di idonea garanzia di natura personale o reale, oppure la confisca dei beni del coniuge obbligato. Possono essere soggetti a pignoramenti pure lo stipendio o lo stipendio.