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Allergia e diagnosi allergologica

Le manifestazioni allergiche sono fenomeni improvvisi, reazioni che non sono precedute da sintomi anticipatori e spesso possono presentarsi in forme anche abbastanza violente. Le allergie, spesso, sono legate anche a fattori di familiarità, se all’interno del nucleo familiare vi sono soggetti atopici, c’è una maggiore probabilità che il bambino possa essere atopico; è importante dunque sapere riconoscere segni e sintomi dell’allergia per poterli riferire correttamente al medico specialista, il quale condurrà in maniera opportuna la diagnosi allergologica, al fine di individuare la causa e mettere in atto il trattamento adeguato per salvaguardare la salute del bambino.

A tal proposito descriviamo, in maniera generica, le caratteristiche del soggetto atopico e, nello specifico, le procedure della diagnosi allergologica.

Allergia

In patologia le reazioni allergiche o anafilattiche vengono classificate come reazioni immunopatogene di I tipo; tali reazioni sono indotte dalla penetrazione nell’organismo di antigeni innocui, definiti allergeni.

Gli allergeni, in alcuni soggetti geneticamente predisposti, stimolano un’eccessiva produzione di anticorpi specifici che appartengono alle classe E (IgE). Questi anticorpi diventano  responsabili della comparsa di fenomeni patologici ogni qual volta ripenetra nell’organismo lo stesso allergene che ne ha stimolato la sintesi. Si tratta, quindi, di una risposta immunitaria abnorme verso una categoria di antigeni che sono definiti innocui perché nei soggetti normali non inducono la comparsa di manifestazioni dannose.

Terminologia allergologica

Con il termine atopia si indica l’abnorme capacità di alcuni individui di sviluppare con facilità manifestazioni di ipersensibilità di I tipo; questa proprietà differenzia tali individui da quelli normali, in cui le manifestazioni allergiche sono assenti perché in essi la sintesi di IgE è di scarsissima entità. Sinonimo di atopia è il termine allergia.

Il termine anafilassi invece, venne coniato per enfatizzare il concetto che il secondo contatto con l’antigene, anziché rafforzare la risposta immunitaria, come avviene con la maggior parte degli antigeni, provoca la comparsa di manifestazioni infiammatorie, talora gravissime. Attualmente, il termine anafilassi viene utilizzato per aggettivare e definire le manifestazioni sistemiche di maggiore gravità delle reazioni di ipersensibilità di I tipo, caratterizzate dalla brusca insorgenza di un grave collasso cardiocircolatorio per imponente vasodilatazione e di una marcata dispnea per edema del laringe e broncospasmo (shock anafilattico), che può essere fatale.

Gli individui allergici o atopici, si differenziano da quelli normali perché geneticamente predisposti a sintetizzare IgE in eccesso quando vengono a contatto con allergeni; pertanto, affinché si verifichi una manifestazione allergica, è necessaria la contemporanea presenza di fattori genetici (genotipo atopico) e di fattori ambientali, questi ultimi sono rappresentati dall’esposizione agli allergeni ambientali, che possono essere suddivisi in due grosse categorie:

  1. fattori esterni (pollini di molte piante, costituenti di alcuni alimenti);
  2. fattori domestici (peli di animali, acari).

Gli allergeni sono molecole molto diffuse  in natura, costituenti in massima parte del regno animale e vegetale e in piccola parte di quello minerale; la penetrazione dell’allergene all’interno dell’organismo può avvenire attraverso varie vie: via respiratoria (inalazione), via alimentare (ingestione), via transcutanea (punture di insetti, inoculazione di farmaci).

 Manifestazioni cliniche dell’allergia nei vari apparati

Le manifestazioni allergiche locali riguardano determinati distretti dell’organismo o perché essi sono preferenzialmente raggiunti dall’allergene o perché sono ricchi di cellule effettrici che liberano un eccesso di mediatori chimici, e possono associarsi a manifestazioni generali, quali malessere  e ipotensione.

A livello cutaneo, la reazione allergica (dermatite allergica) inizia sotto forma di arrossamento e di prurito (orticaria) per fenomeni di vasodilatazione e di iperemia, alla quale fa seguito la formazione di ponfi (rigonfiamenti) causati dalla formazione di essudato generalmente di tipo sieroso. Nel caso di cronicizzazione per perseverante penetrazione dell’allergene si ha la formazione di lesioni più imponenti (papule, vescicole, ipercheratosi), le quali nel loro insieme costituiscono quella manifestazione clinica definita eczema.

Nelle mucose esterne sono frequenti le congiuntiviti allergiche e le riniti allergiche che subentrano per esposizione locale ad allergeni.

Nell’apparato digerente l’allergia è causata da alimenti contenenti allergeni e si manifesta con reazioni flogistiche che interessano prevalentemente la mucosa orale (stomatiti), quella gastrica e quella intestinale, provocando in questo caso diarrea e dolori addominali.

Nell’apparato respiratorio, la manifestazione allergica più frequente, oltre alla rinite, è l’asma bronchiale atopica, caratterizzata da una contrazione parossistica della muscolatura in vari tratti dell’albero bronchiale, associata ad edema della mucosa, ad ipersecrezione di muco e ad insufficiente ventilazione polmonare. La sintomatologia costrittiva, che manca nelle manifestazioni cutanee, è provocata dai mediatori chimici, in particolare istamina e leucotrieni, che determinano contrazione della muscolatura liscia dei bronchi.

L’occasionalità dello scatenamento delle reazioni allergiche dipende dal fatto che l’organismo non viene costantemente a contatto con gli allergeni che hanno determinato la sensibilizzazione, mentre la periodicità dipende dalla cronologia della comparsa degli allergeni, come avviene, per esempio, nel caso delle allergie ai pollini, che si manifestano generalmente in primavera, cioè nel periodo della fioritura.

Oltre all’asma atopico (detto intrinseco), esiste anche l’asma estrinseco che ha una patogenesi diversa, cioè non legata a manifestazioni allergiche in quanto le crisi asmatiche non vengono scatenate da esposizione ad allergeni, ma da altri fattori scatenanti, come ad esempio le infezioni batteriche dell’apparato respiratorio, il fumo, l’affaticamento e lo stress.

Lo shock anafilattico

Lo shock anafilattico è la più grave manifestazione sistemica dell’ipersensibilità di I tipo; compare in conseguenza di un’intensa sensibilizzazione, responsabile della produzione in eccesso di IgE specifiche che saturano i recettori delle cellule effettrici presenti in tutto l’organismo. Conseguentemente, lo scatenamento induce una notevole liberazione di mediatori chimici in quasi tutti i distretti dell’organismo e soprattutto nel sistema vasale. La diffusa vasodilatazione causa una grave ipotensione e riduce l’apporto di ossigeno e di metaboliti ai tessuti, determinando uno shock che viene per l’appunto definito anafilattico, che può essere causa di morte.

Diagnosi Allergologica

Nel caso di sospetta allergia è fondamentale cominciare con un’attenta anamnesi remota e prossima del paziente, che orienta il medico sull’origine e sulla natura dell’allergene. In prima istanza il sospetto diagnostico deve essere verificato dalla ricerca nel sangue della concentrazione delle IgE Totali sieriche; questo test prende il nome di Prist Test che valuta la concentrazione degli anticorpi della classe E, prelevando un piccolo campione di sangue. Nei soggetti atopici la concentrazione delle IgE risulta aumentata, tuttavia il test non è specifico perché valuta la quantità degli anticorpi E implicati nelle reazioni allergiche, senza determinarne la natura.

Successivamente, in base ai dati raccolti durante l’anamnesi, il medico specialista procederà con la diagnosi prescrivendo una serie di test, al fine di identificare l’allergene responsabile delle sensibilizzazione.

Prick test e Prick by prick

Prick test

Il Prick test è uno dei test allergologici di fondamentale importanza per la ricerca dell’allergene in caso di allergie respiratorie e alimentari; viene impiegato per stabilire se una sostanza specifica provoca un’ infiammazione allergica con meccanismo immediato, cioè mediato dagli anticorpi della classe E (IgE).

Per effettuare il test è necessario informare il paziente, invitandolo a non assumere, durante le due settimane che precedono il giorno del test, steroidi e antistaminici, sostanze che potrebbero alterare i risultati del test e quindi renderebbero inutile il test ai fini diagnostici.

Il test consiste nell’applicazione su scarificazioni cutanee o mediante iniezione intradermica, di soluzioni farmaceutiche contenenti i più comuni allergeni, selezionati dal medico in base all’anamnesi del paziente. Si invita il paziente a scoprire la zona dell’avambraccio (solitamente di entrambe le braccia), e le zone sottoposte ad indagine vengono segnate con un pennarello. In corrispondenza di ogni punto segnato viene posta una goccia di allergene (estratto allergenico diluito) e se vengono posti più allergeni bisogna fare attenzione che questi non si tocchino fra loro; dopodiché con una lancetta sterile monouso si punge la cute, per consentire all’allergene di penetrare attraverso gli strati più superficiali della pelle. Dopo circa 1 minuto la goccia viene asportata con un batuffolo di cotone idrofilo, facendo attenzione ad utilizzare un batuffolo pulito per ogni goccia di allergene, per evitare la contaminazione tra i vari allergeni. Si attende un tempo che va dai 15 ai 20 minuti e si osserva la reazione cutanea. Il test è positivo quando compare un ponfo di diametro uguale o superiore ai 3 mm.

È importante ricordare che per questo tipo di test, oltre agli allergeni, vengono utilizzati due sostanze per verificare la risposta della cute, queste vengono definite:

  1. controllo positivo, sulla cute del paziente viene posta una goccia di istamina prodotta dalla stessa casa farmaceutica degli allergeni utilizzati per il test. L’istamina deve scatenare sempre la reazione della cute, tant’è vero che viene utilizzata proprio per valutare la reattività cutanea del paziente. Se non da’ esito positivo le possibili cause sono: negli anziani la cute è poco reattiva; l’allergene è scaduto o non è stato opportunamente conservato per cui è inefficace; il paziente non ha sospeso la terapia con cortisonici e/o antistaminici; la cute non è stata punta bene per cui l’allergene non è penetrato negli strati sottostanti; il paziente è affetto da qualche patologia;
  2. controllo negativo, si tratta di una sostanza inerte e che pertanto deve dare sempre esito negativo, in caso contrario vuol dire che la cute è iperreattiva (dermografismo), come in caso di orticaria, oppure perché il test è stato eseguito con una tecnica non idonea, o ancora, gli estratti degli allergeni utilizzati sono troppo concentrati. Nel caso in cui il controllo negativo risulti positivo, il test deve essere immediatamente sospeso, perché il paziente potrebbe essere ipersensibile ed avere una reazione spropositata.

Le controindicazioni al test sono: dermatiti cutanee, orticaria in fase attiva, utilizzo di antistaminici, stato di gravidanza.

Con questo test è possibile valutare la sensibilizzazione allergica verso vari allergeni, per esempio: pollini, acari, derivati di animali domestici, muffe, alimenti di origine animale e vegetale, latex, veleno di insetti, farmaci.

Prick by prick

Questo test viene eseguito in caso di sospetta allergia alimentare e dopo un prick test negativo. Il prick by prick è molto simile al prick test, la differenza sostanziale consiste nell’utilizzare un alimento fresco anziché l’estratto allergenico diluito; pertanto la lancetta che viene utilizzata per la scarificazione cutanea deve essere immersa nell’alimento da testare e successivamente fatto penetrare nell’epidermide, seguendo le procedure sopra descritte.

Con questo test si supera il limite che può essere rappresentato da una scarsa stabilità della soluzione allergenica, ed il conseguente rischio di falsi negativi; tant’è vero che il test risulta molto utile in presenza di una discrepanza tra la storia del paziente ed i risultati del prick test. Tuttavia, anche il prick by prick ha una bassa specificità e, inoltre, vi possono essere problemi legati alla mancata standardizzazione della fonte alimentare e dell’approvvigionamento dell’alimento fresco.

Patch test

Questo test viene utilizzato per verificare se una sostanza specifica provoca l’infiammazione allergica della cute con meccanismo ritardato, ossia cellulo-mediato (reazione immunopatogena di IV tipo). Il patch test è indicato in presenza di eczema da sospetta dermatite allergica da contatto e/o dermatite atopica.

Come per i test descritti in precedenza, anche in questo caso, prima di procedere è necessario dire al paziente di sospendere le terapie cortisoniche sistemiche in corso, perché potrebbero alterare i risultati del test diagnostico; al contrario la terapia con antistaminici può essere mantenuta perché non interferisce con i risultati del test.

Per l’esecuzione del test vengono utilizzate piccole quantità di sostanze dette apteni, che vengono sistemati in cellette di plastica o alluminio adagiate su un supporto, patch o cerotto. Il patch viene posizionato sulla cute del paziente, in genere sulla schiena, e deve restare in sede per 48-72 ore. Durante questo periodo è importante evitare che il patch si stacchi, per cui raccomandare il paziente o, nel caso dei bambini, la madre, di evitare esercizi fisici intensi che causano eccessiva sudorazione, ed evitare di fare la doccia, o comunque di bagnare la schiena. Dopo tale periodo il medico provvede alla rimozione del patch e alla valutazione della reazione cutanea.

Durante il test è possibile che il paziente riferisca di avvertire fastidio o sensazioni  di prurito, se queste dovessero essere intense è opportuno avvertire il medico. Tuttavia, il patch test non determina un rischio di reazioni gravi come lo shock anafilattico.

Rast test

Il rast test è un’indagine allergologica di II livello, diventa di I livello quando la cute del paziente non è integra per poter eseguire i test cutanei, o quando il paziente a causa di una reazione allergica spropositata non può sospendere la terapia antistaminica.

Tale indagine si basa sul fatto che un soggetto allergico ad una determinata sostanza, presenta nel torrente circolatorio gli anticorpi specifici contro quel determinato allergene; per tale motivo, attraverso il Rast test si cercano e dosano gli anticorpi della classe E specifici nei confronti degli allergeni sospettati (su base anamnestica, clinica e in base ai risultati dei test precedenti). In tal modo il test può confermare o escludere il sospetto diagnostico.

Come abbiamo detto, il Rast test è un’indagine allergologica di II livello, si serve di un campione di sangue e viene effettuato nei casi in cui:

  • i risultati del prick test non riflettono la storia clinica;
  • alterazioni della pelle (dermografismo, dermatite);
  • terapia con cortisonici e antistaminici in atto.

Uno degli svantaggi del Rast test è il suo costo; è un esame costoso e al tempo stesso ci consente di dosare solo un numero limitato di allergeni, per tale motivo la sua prescrizione deve essere supportata da un sospetto diagnostico al quanto fondato. Il vantaggio, invece, è quello di poter essere eseguito a prescindere da eventuali trattamenti concomitanti a base di corticosteroidi e antistaminici, e da condizioni cutanee o problemi medici che rappresentano una controindicazione ai test cutanei.

Il Rast test è controindicato in caso di: negatività ai test cutanei; IgE totali inferiori a 20 ng/l; patologie non legate alla produzione di IgE.

Test di provocazione o challenge test

Tra tutte le indagini allergologiche fino adesso descritte, il test di provocazione  è quello che offre le maggiori garanzie diagnostiche, ma che allo stesso tempo rappresenta un elevato rischio per il paziente, in quanto capace di stimolare reazioni avverse, anche gravi. Per tale motivo il test di provocazione viene praticato in condizioni estremamente controllate, in presenza di un personale sanitario specialistico e munito di farmaci come cortisonici, antistaminici e adrenalina.

Il test non viene mai eseguito se il paziente ha già presentato shock anafilattico o una grave reazione allergica. Il challenge test è un’indagine allergologica di III livello, tant’è vero che di fronte al sospetto di un’allergia il paziente viene prima sottoposto ai test cutanei, in caso di risultati dubbi viene poi indirizzato alle indagini di II livello (prist e rast test), e infine se necessario si procede con il test di provocazione.

L’esame consiste nella somministrazione diretta dell’allergene sospetto, se per esempio si sospetta un’ allergia alimentare, l’allergene viene somministrato per via orale in forma secca, liofilizzata o in capsule; allo stesso modo, se si sospetta una condizione di asma, l’allergene viene somministrato per via inalatoria, in sostanza il test di provocazione prevede la somministrazione dell’allergene sospetto attraverso la via sulla quale l’allergene agisce e dove scatena la manifestazione allergica.

Durante il test il paziente viene tenuto in osservazione per alcune ore, registrando eventuali sintomi in maniera obiettiva e attenta. Tra i sintomi più comuni ricordiamo: prurito, orticaria, angioedema, nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, dispnea, tosse, rinorrea, starnutazione, lacrimazione, cefalea, irritabilità, tensione e fatica.

Test di provocazione orale (TPO)

Questo test viene effettuato quando si sospetta un’allergia verso un alimento o a un farmaco assunto per via orale. L’allergene viene somministrato al paziente partendo da una dose bassa e, ad intervalli di tempo regolari (30 min.) vengono offerte dosi sempre più alte, fino ad osservare la reazione positiva (reazione allergica) o fino al raggiungimento di una quantità standard.

Affinché il test venga considerato affidabile, sarebbe opportuno eseguirlo in doppio cieco; ciò significa che il potenziale allergene deve essere affiancato da una sostanza di controllo anallergica (placebo) e che né il medico né il paziente devono conoscere; tale test in doppio cieco, attualmente viene identificato come il test gold standard per la diagnosi di allergia alimentare.

Il risultato di questo test allergologico è molto importante perché ci consente di stabilire eventuali diete di esclusione, ovvero prive dell’alimento allergizzante. Nonostante questo test sia molto sensibile e specifico, può mostrare alcune limitazioni:

  • difficile esecuzione;
  • può essere eseguito solo in centri specializzati;
  • non sempre è in grado di provocare nel paziente quanto accade nella sua vita quotidiana (es: anafilassi cibo-dipendente ed esercizio-indotta, questi pazienti presentano uno skin test positivo ed elevati livelli di IgE, ma la reazione anafilattica si presenta solo se, dopo aver ingerito l’allergene alimentare, si pratica l’esercizio fisico).

Test di provocazione bronchiale

Questo test viene utilizzato per la diagnosi di asma bronchiale, può essere aspecifico con la somministrazione di istamina o metalcolina, o specifico con la somministrazione di allergeni.

La metalcolina è una sostanza farmacologica in grado di provocare una lieve ostruzione bronchiale nei soggetti asmatici, mentre non provoca nessuna reazione nel resto della popolazione. Il test prevede l’esecuzione di una serie di spirometrie forzate dopo aver inalato dosi crescenti di metalcolina attraverso un nebulizzatore.

Per la diagnosi di asma da sforzo, esiste un test di provocazione bronchiale che sfrutta l’esercizio fisico come fattore scatenante: il soggetto viene sottoposto ad un esercizio sub-massimale per 5 o 6 minuti (es. corsa), e a varie spirometrie, prima e dopo 5, 10 e 20 minuti dalla fine dell’esercizio fisico.

Test di provocazione nasale

Per l’esecuzione di questo test l’allergene viene somministrato per via inalatoria (spray pre-dosati) e si conta il numero di starnuti in relazione sempre alla valutazione del quadro generale. Possono essere utilizzati degli strumenti sofisticati come i rinomanometri, questi misurano il flusso d’aria che attraversa le narici e la resistenza offerta al passaggio d’aria. Il test viene considerato positivo se si registra un calo della conduttanza di almeno il 20%.

Per l’esecuzione dei test di provocazione è opportuno preparare sempre un carrello di emergenza provvisto di:

  • ampolla aerosol con 0,5 cc di adrenalina, 1 fiala di clenil e 2 cc di Nacl (soluz. fisiologica);
  • 0,5 cc di adrenalina portata a 5 cc con soluzione fisiologica;
  • pallone ambu;
  • siringhe;
  • trimeton;
  • aircot;
  • distanziatore per broncodilatatori.

Non devono mai mancare : cortisone, antistaminico e adrenalina.

Terapia

Per quanto riguarda la terapia del soggetto atopico, in generale possiamo dire che, se l’identificazione dell’allergene non è stata possibile, verranno somministrati antistaminici, cortisonici, antinfiammatori o farmaci atti a ridurre la sintomatologia; se, invece, la ricerca dell’allergene ha dato un risultato positivo, viene instaurata un’immunoterapia specifica (desensibilizzazione). L’immunoterapia consiste nella somministrazione in dosi progressivamente crescenti, per alcune settimane o mesi, dell’allergene che ha determinato la sensibilizzazione, al fine di indurre un incremento nella produzione di IgG specifiche per bloccare l’azione delle IgE e ridurre la sintomatologia.

Profilassi

La sicura profilassi dell’allergia consiste nell’impedire che i soggetti allergici vengano in contatto con l’allergene o con gli allergeni responsabili della sensibilizzazione; ovviamente ciò non è sempre possibile, può risultare semplice in casi di allergeni presenti negli alimenti, nei farmaci o nei peli di animale, ma diventa complicato nel caso di soggetti allergici ai pollini e agli acari.

Per concludere, ricordiamo che esiste una differenza importante tra allergia e intolleranza; pertanto, per ulteriori approfondimenti consigliamo la lettura del nostro articolo intolleranze alimentari nel bambino.