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febbre nei bambini

Cosa fare se i bambini hanno la febbre

La febbre è una forma di ipertermia che si distingue da quelle non febbrili per il suo peculiare meccanismo patogenetico. Questo consiste in un’alterazione funzionale reversibile dei neuroni dei centri termoregolatori ipotalamici, innescata da alcune citochine sintetizzate e rilasciate in eccesso da diverse cellule dell’organismo in numerose condizioni patologiche.

L’alterazione funzionale dei centri consiste in un innalzamento della soglia di riconoscimento della temperatura di riferimento, per cui i neuroni avvertono come temperatura di riferimento non più quella geneticamente stabilita (poco meno di 37° C nell’uomo), ma una temperatura superiore a questa. Ciò comporta che il suddetto slittamento determini l’innesco della risposta termoconservativa o termodispersiva, non più quando la temperatura corporea si abbassa al di sotto o al di sopra di 37 ° C, ma a temperature di grado sempre superiore ai 37° C.

  1. fase del rialzo termico o fase prodromica: in questa fase vengono prodotte le citochine che danno la sensazione soggettiva di freddo e provocano i brividi (che sono un aumento della termogenesi). Questa fase è caratterizzata anche dal pallore cutaneo che consegue alla vasocostrizione (e alla successiva riduzione della termodispersione). Corrisponde al momento in cui inizia l’azione delle PGE2 (prostaglandine E2) sui neuroni dei centri termoregolatori, che innesca la risposta termoconservativa. La temperatura corporea aumenta progressivamente, talvolta con grande rapidità e talvolta lentamente;
  2. fase del fastigio: è il periodo durante il quale i centri termoregolano ad un livello più elevato di quello fisiologico. Come conseguenza di ciò la temperatura corporea supera i 37°C, raggiungendo valori che sono proporzionali alla riduzione della sensibilità dei neuroni dei centri termoregolatori; scompare la sensazione di freddo che è sostituita da quella di caldo. Questa fase viene mantenuta per tutto il periodo in cui dura la produzione in eccesso di pirogeni endogeni e di PGE2;
  3. fase di defervescenza: è caratterizzata soggettivamente dalla sensazione di caldo ed obiettivamente dall’abbassamento della temperatura corporea. In conseguenza della ridotta produzione di citochine pirogeniche e di PGE2, che può essere graduale o rapida, i neuroni dei centri termoregolatori riportano al valore di 37°C la loro soglia di sensibilità agli stimoli termici. Frequentemente una profusa sudorazione favorisce l’eliminazione del calore. La caduta della febbre può avvenire gradualmente (per crisi) o rapidamente (per lisi).

Tipi di febbre

Il rialzo termico febbrile assume andamenti caratteristici a seconda delle cause che lo producono, cioè a seconda della liberazione dei pirogeni endogeni da essa indotta. Nei pazienti affetti da malattie infettive l’andamento della febbre fornisce non di rado fondati aspetti per l’individuazione dell’agente eziologico.

Si distinguono vari tipi di febbre:

  • febbre continua: caratterizzata da un rialzo della temperatura corporea al di sopra dei 37°C, che si mantiene costante anche nel periodo del fastigio. Le oscillazioni giornaliere della temperatura corporea rimangono sempre sotto ad un grado senza che mai raggiungere la defervescenza. Esempio tipico della febbre continua è quella del tifo, provocato da Salmonella typhi;
  • febbre remittente: il rialzo termico durante il periodo del fastigio è caratterizzato da oscillazioni giornaliere sopra ad 1 grado centigrado senza raggiungere mai la defervescenza. È un tipo di febbre frequente nella setticemia;
  • febbre continua-remittente: durante il periodo del fastigio le oscillazioni della temperatura del corpo possono variare di 1 grado senza raggiungere la defervescenza;
  • febbre intermittente: periodi di ipertermia si alternano con periodi di apiressia. L’ alternanza del periodo febbrile con quello di mancanza di febbre può essere regolare oppure irregolare. Si parla di febbre intermittente quotidiana, quando il rialzo termico inizia nelle ore mattutine, si eleva successivamente fino a metà circa della giornata per poi ridursi rapidamente in modo che nelle ore della sera la temperatura raggiunga il suo livello normale. Nella malaria, per esempio, i giorni di febbre si alternano regolarmente con quelli di apiressia a seconda del ciclo riproduttivo della specie dell’agente eziologico infettante. Nella terzana il rialzo termico si verifica a giorni alterni, (febbre al 1° giorno, apiressia al 2° giorno, febbre di nuovo al 3° giorno, e così via in assenza di terapia). Nella quartana, invece, il rialzo termico si ha dopo due giorni di apiressia;
  • febbre ricorrente febbre ondulante: (la prima tipica di molte treponematosi, la seconda tipica della febbre maltese o brucellosi) nelle quali un periodo di rialzo termico della durata di alcuni giorni è seguito da un periodo di apiressia, sempre della durata di qualche giorno, a sua volta seguito da un nuovo rialzo termico e così via. La differenza tra questi tipi di febbre consiste nel fatto che nel primo caso la caduta della febbre avviene per lisi e nel secondo per crisi.

Altre aggettivazioni del decorso febbrile che sono di frequente uso nel linguaggio comune anche se meno precise di quelle finora descritte sono le seguenti:

  • febbre bassa o febbricola quando il rialzo termico supera di un solo grado i 37°C;
  • febbre media quando esso non è superiore ai 2°C (39°C);
  • febbre alta quando lo stesso è di 2-3 gradi superiore alla temperatura normale;
  • febbre altissima quando la temperatura raggiunge e supera i 41,5°C.

Bisogna infine tener presente che i tipici decorsi febbrili vengono attualmente modificati dall’autosomministrazione, talora incongrua, di antibiotici e soprattutto antipiretici. Basti pensare che comunque, la febbre, quando non troppo elevata e dunque pericolosa per lo stato di salute, è un meccanismo attuato dall’organismo stesso per difendersi dagli agenti patogeni (dunque risulta cosa buona); per questo motivo sarebbe opportuno valutare sempre se sia davvero il caso di agire immediatamente con i suddetti antipiretici o lasciare che la febbre segue il suo decorso regolare. L’autosomministrazione è comunque, quasi sempre, una pratica errata e andrebbe opportunamente consultato un parere medico (pediatrico nel nostro caso) per avere un quadro migliore della situazione.

Sintomi febbrili

Nel corso della febbre aumentano nell’organismo tutti i processi ossidativi, fatto questo che comporta un aumento del metabolismo basale, che si innalza di circa il 40% quando la temperatura corporea  raggiunge i 39°C.

Dapprima vengono bruciati i carboidrati con conseguente riduzione delle riserve di glicogeno e comparsa di una lieve iperglicemia. Se il decorso febbrile è di lunga durata vengono mobilizzati gli acidi grassi dai depositi per cui può manifestarsi chetonemia e chetonuria, che possono, a loro volta, essere causa di acidosi.

Il metabolismo delle proteine si negativizza nel senso che le proteine endogene (cioè facenti parte dell’organismo) vengono metabolizzate, ciò circostanza che nei decorsi febbrili protratti è causa di dimagrimento per riduzione soprattutto delle proteine che costituiscono le masse muscolari. Si ha un’eccessiva eliminazione (talora anche di tre volte superiore alla norma) dell’azoto urinario totale, aumenta inoltre l’eliminazione della creatina.

Per quanto riguarda il metabolismo idrosalino, si ha oliguria, causata dalla maggiore perdita di acqua attraverso il sudore e con gli atti respiratori, ritenzione di cloruri ed eccessiva eliminazione di potassio e di fosfati.

Tra gli apparati dell’organismo, quello cardiocircolatorio è notevolmente influenzato durante il decorso febbrile. Si ha, salvo qualche rara eccezione, tachicardia, cioè aumento della frequenza delle contrazioni cardiache (generalmente aumento di circa 8 pulsazioni per ogni grado di temperatura al di sopra dei 37°C), tanto che  ci si può rendere conto dell’aumento del livello di temperatura dall’incremento della frequenza delle pulsazioni.

Si ha anche il coinvolgimento dell’apparato respiratorio con aumento della frequenza respiratoria (polipnea), che ha una duplice origine in quanto può essere di origine centrale per stimolazione dei centri respiratori, oppure periferica quando è stimolata dall’acidosi.

Anche l’apparato digerente è coinvolto con fenomeni di anoressia (mancanza di appetito) associati occasionalmente a vomito e nausea. A livelli elevati di temperatura si possono manifestare turbe del sistema nervoso centrale. Tra queste, la più comune è il delirio.

L’aumento della temperatura si associa da un lato ad una riduzione della proliferazione dei microrganismi patogeni e dall’altro ad un sensibile incremento dell’attività delle cellule con funzione immunitaria. Basti pensare che un  incremento di mezzo grado rispetto ai valori normali è sufficiente ad aumentare considerevolmente la risposta dei linfociti B e T contro i microrganismi patogeni.

Oltre che per un’infezione di origine batterica o virale, la febbre può insorgere anche come causa secondaria di specifiche malattie o derivare dall’utilizzo di alcuni farmaci. Come abbiamo visto la risposta febbrile altro non è che un potente ed efficace mezzo di difesa. L’aumento di temperatura può quindi essere considerato come una vera e propria medicina che il nostro corpo possiede per difendersi da infezioni virali e batteriche.

Privare l’organismo di un sostegno così importante assumendo farmaci antipiretici (in grado di abbassare la temperatura corporea), potrebbe in molti casi avere effetto contrario rispetto a quanto sperato. Per esempio l’utilizzo di antibiotici può abbassare le difese immunitarie andando ad eliminare non solo i batteri patogeni ma anche quelli utili. Inoltre, se la malattia è causata da virus, questa classe di farmaci si dimostra non solo del tutto inefficace ma addirittura nociva perché per i motivi sopraccitati allunga i tempi di guarigione e favorisce il ripetersi di nuovi episodi infettivi.

Se la febbre supera i 39°C, soprattutto se a soffrirne sono bambini ed anziani, è comunque opportuno assumere dei medicinali in grado di riportare la temperatura corporea al di sotto di questo valore. Considerando le numerosissime cause d’origine della febbre tali medicinali dovranno essere prescritti esclusivamente da un medico dopo un accurato esame diagnostico nel quale il paziente avrà cura di specificare ogni sintomo avvertito. Se la temperatura permane elevata per più di 3-4 giorni dall’inizio della terapia è bene interpellare nuovamente il medico per esaminare eventuali complicanze.

Trattamento

Il primo trattamento da mettere in atto prevede l’utilizzo di metodi fisici che riproducono esattamente gli scambi che l’organismo svolge con l’ambiente esterno in maniera naturale per mantenere la sua regolazione termica.

Le linee guida raccomandano di non utilizzare le spugnature o gli impacchi di ghiaccio di routine perché mancano studi che dimostrano l’efficacia di tale procedura, e perché utilizzare impacchi troppo freddi può avere un effetto controproducente in quanto l’eccesso di freddo inganna l’apparato regolatore della temperatura corporea (detto centro della febbre, situato nel cervello) producendo un effetto paradosso, la temperatura si abbassa per poi innalzarsi rapidamente e con più vigore.

È assolutamente sconsigliato l’utilizzo di impacchi di alcol perché i vapori dell’alcool possono essere inalati dal bambino e provocare seri problemi. È utile invece mantenere la temperatura della camera del bambino non sopra i 18°C (quindi arieggiare l’ambiente) ed eventualmente far fare un bagno tiepido (non freddo) di pochi minuti quando la temperatura è elevata (39,5°C) per favorire la dispersione di calore mediante l’evaporazione.

Per prevenire la disidratazione, il bambino va incoraggiato a bere, frequentemente e a piccoli sorsi utilizzando bevande fresche, nel neonato e nel lattante l’allattamento al seno va continuato. Non bisogna forzare il bambino a mangiare se non vuole perché è normale non avere fame in corso di malattia, quando starà meglio sarà il bambino a chiedere di mangiare.

Quando la temperatura corporea del neonato (meno di 28 giorni) è sempre raccomandato il ricovero. Se la febbre è comparsa subito dopo un viaggio va presa in esame la possibilità di un’infezione. Se la febbre persiste per più di 5 giorni occorre fare accertamenti per trovare la causa.

È consigliato invece l’impiego degli antipiretici quando:

  • la temperatura supera i 39°C (rettali) o i 38,5°C (ascellari);
  • nei lattanti e nei neonati quando la temperatura rettale si alza oltre i 38°C;
  • la febbre è lieve ma il paziente accusa sintomi dolorosi come dolori muscolari o mal di testa;
  • la temperatura corporea supera i 40,5°C.

 Antipiretici

Il dosaggio degli antipiretici deve essere calcolato in funzione del peso del bambino, non dell’età.

In generale i farmaci di eccellenza utili per la remissione dell’iperpiressia febbrile sono gli inibitori delle due ciclossigenasi (COX-1 e COX-2), i cosiddetti FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) perché bloccano la produzione dei derivati dell’acido arachidonico ed in particolare la formazione delle prostaglandine della serie E2, che a livello ipotalamico si comportano da induttori diretti del rialzo termico.

La remissione del rialzo termico che si ottiene con i FANS blocca il meccanismo patogenetico della febbre, ma non interferisce con l’agente eziologico che è responsabile della sua comparsa; questa è la ragione principale per cui l’autosomministrazione di antipiretici non deve essere continuata ad oltranza indipendentemente dalla prescrizione del medico, il quale molto spesso, a causa del modificato decorso febbrile indotto dall’automedicazione, può trovarsi in difficoltà ad avanzare un sospetto diagnostico.

I FANS agiscono da veri e propri antipiretici, perché la loro somministrazione continuata nel tempo come antidolorifici o come antiaggreganti piastrinici in soggetti senza rialzo termico non provoca alcuna riduzione della normale temperatura corporea.

Anche i glicocorticoidi, il cui impiego come automedicazione è fortunatamente eccezionale, hanno una spiccata azione antipiretica che si basa non solo sulla loro capacità di inibire la fosfolipasi A2, l’enzima che induce la liberazione di acido arachidonico dai fosfolipidi della membrana plasmatica cellulare, riducendo conseguentemente la fonte della produzione delle PGE2, ma anche sulla loro potente azione antinfiammatoria, che contribuisce a ridurre la sintesi e la liberazione delle citochine pirogeniche.

Il paracetamolo e l’ibuprofene sono gli unici antipiretici raccomandati in età pediatrica. In particolare il paracetamolo è l’unico antipiretico che può essere utilizzato fin dalla nascita, è antipiretico e analgesico ed è quindi efficace sia per abbassare la temperatura sia in caso di mal di testa e altre manifestazioni dolorose, non possiede gli effetti indesiderati comuni a tutti i FANS (in particolare, quelli gastrointestinali e renali) ed, al contrario di questi, presenta solo un modesto rischio di interazioni farmacologiche.
L’acido acetilsalicilico (aspirina) non è raccomandato in età pediatrica e va assolutamente vietato fino ai 15 anni di età per il rischio di sindrome di Reye (una malattia acuta caratterizzata da manifestazioni patologiche che riguardano prevalentemente il cervello e il fegato).

La somministrazione alternata di ibuprofene e paracetamolo invece della somministrazione di un unico farmaco non è raccomandata in quanto mancano studi sull’efficacia e la sicurezza. Inoltre non vanno utilizzati, salvo diverso parere del pediatra, tutti i farmaci antinfiammatori non steroidei, per il rischio di effetti collaterali a carico dell’apparato gastrointestinale.

Le linee guida della Società italiana di pediatria raccomandano la somministrazione del paracetamolo per via orale e non per via rettale perché l’assorbimento è più costante ed è possibile una maggiore precisione nel dosaggio in funzione del peso corporeo. La somministrazione per via rettale va considerata solo in caso di vomito o di altre condizioni che ne impediscano l’impiego per via orale.
È molto importante somministrare il farmaco al dosaggio corretto per evitare effetti collaterali gravi. Il paracetamolo infatti se assunto in eccesso può causare danni al fegato. In caso di sovradosaggio (maggiore di 200 mg per chilo di peso del bambino nelle precedenti 24 ore; oppure di 150 mg per chilo di peso del bambino al giorno, per 2 giorni; oppure di 100 mg per chilo di peso del bambino al giorno, per 3 giorni)accidentale in bambini con meno di 6 anni si raccomanda il ricovero in ospedale.

Per tale motivo riportiamo di seguito i corretti dosaggi dei principali farmaci antipiretici utilizzati in età pediatrica:

  • paracetamolo, il dosaggio corretto è di 60/mg/kg da suddividere in 4 o 6 somministrazioni/die, senza mai oltrepassare la dose di 80 mg/kg/die.
  • ibuprofene, da 20 a 30 mg/kg/die da suddividere in 3 o 4 somministrazioni, senza mai oltrepassare la dose di 30 mg/kg/die.

La terapia farmacologica con farmaci antipiretici va continuata non oltre i 5 giorni, se la febbre persiste bisogna procedere con le indagini di laboratorio per andare a ricercare la causa scatenante e intraprendere la terapia più idonea. È importante ricordare che la febbre non si abbassa con gli antibiotici; questi farmaci vanno assunti solo dietro ricetta medica e in caso di infezione di origine batterica.